sabato 4 maggio 2013

Napule è

                                                                              
“Ci sono posti che vedi una volta sola e ti basta... e poi c'è Napoli”

JOHN TURTURRO

                                                                               



Esistono due Napoli: una reale, fisica, accogliente nei suoi vicoli, nei palazzi e nella sua storia, l’altra, platonica, l’idea astratta di Napoli, frutto dell’immaginario collettivo, che ha creato tanti luoghi comuni, sancendo di fatti lo status di città unica al mondo, originale, contraddittoria, irripetibile. Ma se Napoli è capro espiatorio della somma dei problemi di un’intera nazione, è anche e soprattutto arte, e musica in particolare. La città ha sempre avuto un forte e privilegiato rapporto col mare, e l’intermediario di questo matrimonio è il suo porto, aperto al mondo e alle navi che vi approdano e trovano rifugio. Napoli nei secoli ha imparato ad accettare e ad integrare gli stranieri: la città ha "rubato" a tutti e a tutti ha dato qualcosa da portarsi via. Il napoletano è abituato ad aspettare, aspettare che lo straniero entri, che si sfoghi, che si senta conquistatore, senza rendersi conto che è lui che sta lasciando qualcosa, che viene studiato, che da lui si cerca di capire se ha qualcosa di utile da lasciare! Alla fine la cultura napoletana prevale, un po' più ricca di prima, perché ha imparato a non soccombere, nonostante tutto. Napoli assorbe e poi trasforma, e infine rimanda e comunica. Non a caso è stata da sempre capitale, anche se l’Italia tenta in tutti i modi di “ridimensionarla”, ma la sua cultura è la sua forza, è il vero segno di civiltà, il  contrario dei  falsi parametri e dei finti modelli imposti da chi non la pensa proprio così, distante e immerso com'è nelle proprie nebbie!!   Ma torniamo alla sua musica….
…..l'origine della canzone napoletana si colloca intorno al XIII secolo, quindi ai tempi della fondazione dell'Università partenopea istituita da Federico II (1224), della diffusione della passione per la poesia e delle invocazioni corali dalle massaie rivolte al sole, come espressione spontanea del popolo di Napoli, manifestante soprattutto la contraddizione tra le bellezze naturali e le difficoltà oggettiva di vita. Un forte sviluppo si ebbe nel Quattrocento, quando la lingua napoletana divenne la lingua ufficiale del regno e numerosi musicisti, ispirandosi ai cori popolari, iniziarono a comporre  le farse, le  frottole e le ballate. Alla fine del Cinquecento si diffuse la villanella alla napoletana, che conquistò l'Europa.  Questa espressione artistica popolare era allora carica di contenuti positivi ed ottimistici e raccontava la vita, il lavoro ed i sentimenti popolari.




In particolar modo la "villanella alla napoletana" rappresentò un primo antefatto fondamentale per gli sviluppi della canzone napoletana ottocentesca, sia per la sua produzione originariamente popolaresca, ben accolta dalla classe colta, sia per il suo carattere scherzoso e l'ampio spettro componentistico, che variava dalla polifonia,  all'accompagnamento strumentale per una sola voce. La più famosa villanella è probabilmente Si li femmene purtassero la spada.
Il Seicento vide sfiorire la villanella e la comparsa dei primi ritmi della tarantella, con la celebre Michelemmà. Nel secolo successivo si rintraccia un secondo antefatto della canzone napoletana ottocentesca, rappresentato dalla nascita dell'opera buffa napoletana, che influenzò non solo il canto ma anche la teatralità delle canzoni, che divennero un faro per la produzione popolaresca. Intorno al 1768 autori anonimi composero Lo guarracino, divenuta una delle più celebri tarantelle, rielaborata come molte altre canzoni antiche nel secolo seguente.
 Elementi catalizzanti la propagazione ed il successo dell'attività musicale furono innanzitutto la nascita, intorno ai primi dell'Ottocento, di negozi musicali e di case editrici musicali come Guglielmo Cottrau, Girard, Calcografia Calì, Fratelli Fabbricatore, Fratelli Clausetti e Francesco Azzolino, che ebbero il merito di recuperare, raccogliere, riproporre, talvolta aggiornandoli, centinaia di brani antichi. Un secondo veicolo di diffusione della canzone fu costituito dai cosiddetti "posteggiatori", ossia dei musici vagabondi che suonavano le canzoni sia in luoghi al chiuso, sia davanti alle stazioni della posta o lungo le vie della città, talvolta spacciando anche le "copielle", fogli contenenti testi e spartiti dei brani parzialmente modificati.
 Fra la seconda metà dell'Ottocento e  la prima metà del Novecento, la canzone fu oggetto di inclusione, nei suoi temi, di decadentismo, pessimismo e drammatismo ad opera di intellettuali che ne modificarono lo spirito originario, probabilmente a seguito dell’unità d’Italia, che portò nella città una percezione non proprio positiva e la sensazione di essere stata defraudata del suo antico splendore di capitale culturale europea, nel vano tentativo di assoggettare Napoli al ruolo comprimario di città di “provincia”. In quel periodo i maggiori musicisti e poeti si cimentano nella composizione di numerose canzoni, ponendo le basi per la nascita della canzone classica napoletana, pietra miliare della canzone italiana ed uno dei repertori più conosciuti all'estero.




Fu alla fine della seconda guerra mondiale che la musica napoletana visse la sua più grande e straordinaria prima rivoluzione. Adesso è più evidente il carattere di contaminazione della musica partenopea. Le castagnelle, i tamorre e il triccheballacche lasciano il posto alla batteria e alle percussioni, il  putipù, il calascione e il mandolino vengono rimpiazzati dal contrabbasso e dalla chitarra! Esempio straordinario fu  lo stile di Renato Carosone, che mescolò ai ritmi della tarantella le melodie e gli strumenti tipici del jazz americano e del boogie, che i soldati a stelle e strisce avevano portato alle falde del Vesuvio, contribuendo così ancor di più all'esportazione in America della canzone napoletana. All’esperienza di Carosone fece seguito, negli anni sessanta, quella di Peppino di Capri, che rapportò la netta e inconfondibile “napoletanità” musicale con il twist e la musica dei Beatles. Negli anni settanta invece, c’è una tendenza al ritorno, al risveglio di una nuova e più rigorosa consapevolezza delle radici folkloriche della musica popolare, ad opera principalmente del geniale Roberto De Simone, fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare: qui furono poste le basi della moderna musica partenopea. Ma se da un lato si sta attuando una profonda trasformazione e contaminazione, dall’altro c’è chi si adopera per il recupero della canzone tradizionale:  vengono ripresi ed attualizzati i temi della sceneggiata, ad opera di Mario Merola, Pino Mauro, Mario Trevi e Mario Da Vinci.
Parallelamente a questo fenomeno, Bruno Venturini rilegge in chiave lirica i più famosi brani del repertorio classico della canzone napoletana, dando vita ad una significativa opera antologica (con brani che vanno dal 1400 ai giorni nostri), nella continuità del bel canto italiano nel mondo, che ha avuto nel grande tenore Enrico Caruso la sua massima espressione vocale.
Intanto il fermento musicale di quell'epoca è avvertito anche da nuovi autori come Eduardo De Crescenzo, Alan Sorrenti (nella fase più sperimentale) ed Enzo Gragnaniello. La musica nera, il blues, il soul, il rhythm & blues e il jazz fusion, iniziano ad affacciarsi sul Golfo. Pino Daniele sarà il grande traghettatore di questa stagione, con una produzione memorabile ed eterna della musica di altissima qualità. Accanto a lui emergeranno preponderanti il sassofonista Enzo Avitabile, Tony Esposito, con le sue sperimentazioni afro, la fusion di Napoli Centrale, col sassofonista James Senese, il rock singer Edoardo Bennato, che fece del grottesco e dell’opera buffa  un’ardita fusione con la musica folk americana, Teresa De Sio, nata da una costola della Nuova Compagnia, e con lei Eugenio Bennato, fratello di Edoardo. E poi il Gruppo Operaio di Pomigliano d’Arco, le Nacchere Rosse, Musicanova, le suggestioni pop jazz operistiche degli Avion Travel, danno un'impronta nuova e dinamica alla musica partenopea. Napoli che assorbe, crea e rimanda, a differenza di altre realtà nazionali, troppo prese dall’assorbire passivamente le mode che vengono da oltre oceano! Uno dei più singolari esperimenti degli anni settanta è costituito dagli Osanna, gruppo rock progressivo, formato per iniziativa del gruppo Città Frontale e del fiatista Elio D'Anna. Questi sono stati tra le prime band rock, formata da musicisti talentuosi, a proporre concerti dal vivo con trucco e costumi di scena. Le loro esibizioni erano sostenute anche da coreografie create attraverso la teatralità della tradizione mediterranea con richiami alla Commedia dell'arte. Negli anni ottanta e nei primi novanta, si affermano in ambito nazionale anche gruppi come Almamegretta, 99 Posse, 24 grana, Bisca, che rinnovano la canzone napoletana mediante una commistione di musica elettronica, trip-hop e rap. La differenza rispetto alla musica neomelodica sta anche nei testi ad alto contenuto politico (prevalentemente di estrema sinistra). Queste band trascinano il ragamuffin fuori dai Centri Sociali napoletani, offrendo al mercato discografico una nuova linfa creativa. Il raggio di azione dei musicisti napoletani si è gradatamente ampliato fino a comprendere forme avanzate di ricerca, come il lavoro del musicista Luciano Cilio e dalla geniale opera di revisione zappiana, a cura di Daniele Sepe. Senza dubbio Napoli ha assunto un ruolo di leadership nella musica popolare italiana. Il dialetto ha di molto facilitato un rapporto più incisivo ed efficace col ritmo, grazie alla frequenza delle parole tronche, che invece scarseggiano nella lingua nazionale. L'esperienza napoletana, al di la delle grandi conquiste del passato, è in continuo divenire, nell'impeto creativo che ha da sempre caratterizzato la metropoli partenopea. Mi chiedo se non Napoli, quale altra città può assumere il ruolo di capitale culturale del bel paese!



Almamegretta


 

Pino Daniele e il suo supergruppo

99 POSSE
Daniele Sepe







 

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